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"Nato maschio": Rappresentazione sociale della violenza maschile. Lo stupro


Dopo aver così lungamente parlato della violenza che gli uomini attuano come espressione di potere e dominio nei confronti delle donne e averne delineato il significato antropologico, mitologico, la legittimizzazione sociale e la valenza culturale, diventa necessario spostare l’analisi su un piano diverso rispetto quello affrontato fino ad ora, ossia sul piano della rappresentazione sociale della violenza maschile. Sesso e violenza è un binomio che accompagna il sesso maschile da sempre, tanto da indurmi a pensare che se il maschio ha interiorizzato la violenza e il dominio come condotta comportamentale “normale” è possibile che le donne abbiamo fatto lo stesso, accettando gli abusi maschili, fisici e psicologici, senza consapevolizzarne la gravità a causa di motivi culturali ed educativi.
Il processo di costruzione della realtà sociale della sessualità maschile e femminile è diverso per tutti i motivi citati fino ad ora. Il gioco delle parti in cui c’è un dominatore ed un dominato, un aggressore ed un aggredito, una vittima ed un carnefice, sembra essere accettato e consensuale da parte delle donne perchè, anche loro, così come gli uomini hanno interiorizzato delle norme comportamentali tipiche del sesso femminile, quello di non osare, di non rispondere, di non mostrarsi.
Le varie ricerche antropologiche sulle quali mi sono soffermata, di autori che studiano quasi esclusivamente il comportamento maschile come espressione di dominio, sottolineano l’importanza dei riti di iniziazione a cui gli uomini sono sottoposti. Il significato di queste “iniziazioni” è quello di trasmettere ed infondere nell’uomo la sua essenza di maschio, i suoi segreti, la sua virilità, che utilizzerà sia nei rapporti di potere pubblici che con le donne. Uno dei segreti che vengono rivelati durante questi riti, secondo Godelier, riguarda lo sperma; il tema del fallo e del liquido seminale ritorna di nuovo per ripetersi all’infinito. Nello sperma infatti è rappresentata la vita, la forza, è il nutrimento della vita che fa nascere i bambini e consente alle donne di avere il latte. Ancora Pierre Bourdieu sui riti d’iniziazione, scrive: “ [....] la logica dell’intero processo sociale nel quale si genera il feticismo della virilità si manifesta con estrema chiarezza nei riti d’iniziazione i quali, como ho dimostrato altrove, puntano a instaurare una separazione sacralizzante [....] tra coloro che sono socialmente degni di subirli e coloro che ne sono esclusi per sempre, vale a dire le donne” (Maschi e altri maschi, pag 55)
L’ uomo ha il peso, per usare una metafora, di tenere alto il suo onore di essere maschio, la sua virilità, ed ecco che tra riti di iniziazione, educazione e tradizioni tramandate l’uomo sente che la sua natura è quella del maschio dominante.
Sembra chiaro, dopo questa premessa, come la percezione e la rappresentazione dei comportamenti sessuali negli uomini sia diversa da quella delle donne. L’uomo quando forza nella comunicazione sessuale con la donna, sia con il contatto fisico che verbalmente, tende a ripristinare la propria superiorità di genere.
I dati della ricerca del 1991 realizzata da Godenzi in Svizzera, riportano una tipologia di uomo (il campione è quello di uomini che avevano o avrebbero commesso stupri) che considera la donna come un oggetto o come uno strumento per soddisfare i propri bisogni e/o risolvere i propri conflitti. La ricerca si proponeva di entrare in contatto con gli stupratori attraverso una linea telefonica messa a disposizione di chi volesse parlare del proprio crimine, e di allargare così il campione degli stupratori, già rappresentato dalla popolazione carceraria, ad uno “normale” per poter studiare più ampiamente il fenomeno. Sono diversi i fattori che intervengono in un atto di violenza sessuale, come la dipendenza sessuale, la compulsività sessuale, la dimostrazione di virilità e il bisogno di non lasciarsi sopraffare, ristabilire e assicurarsi il potere e il dominio. La provenienza sociale di questi uomini intervistati, è un dato molto interessante, il campione non risulta essere parte di una subcultura ma si tratta di uomini con titoli di studio, con un lavoro qualificato o liberi professionisti. Anche Leary, nelle sue ricerche, riporta un dato simile in cui non c’è distinzione di livello sociale in chi commette un atto di aggressione: “Questo genere di associazione tra risse da bar e creazione di una reputazione è probabilmente presente in tutte le subculture delle classi lavoratrici dell’occidente industriale, in ambiti sia urbani che rurali” (cfr.Leary 1976). Ritornando ai risultati della ricerca di Godenzi, ciò che mi ha lasciato inizialmente interdetta e che rappresenta un dato denso di significato rispetto la percezione sociale ed individuale del comportamento deviante, è che gli uomini, non essendo mai stati denunciati e quindi non etichettati come stupratori, non riconoscono l’abuso sessuale in quanto tale, come se fosse ovvio “forzare la mano” per ottenere ciò che per diritto gli spetta, paradossalmente però, al di fuori dell’evento violento che li vede protagonisti, questi stessi uomini riconoscono la violenza dell’atto commesso da altri e sostengono che lo stupratore debba essere punito. (cit dal libro sul letto di Procuste pg 544).
La ricerca riporta che c’è una relazione tra l’elevato numero di crimini sessuali e il basso tasso di denunce. “I due fenomeni sono tra loro interrelati dal momento che fanno parte dello stesso contesto sociale il quale, certamente, non incita nè provoca la violenza contro le donne, ma, in un certo senso, la favorisce: le norme e le regole predominanti, le esperienze quotidiane dei due sessi incoraggiano gli uomini allo stupro o, detto diversamente, non li scoraggiano al farlo. Nell’ambito sociale si ritrovano i presupposti per le aspirazioni violente di stupratori potenziali, che si sentiranno più rafforzati da un certo tipo di contesto”. (Cipolla pg 545) Una sorta di onnipotenza maschile favorita spesso dal silenzio, dal consenso così come dal contesto sociale, dal branco, dalle legislazioni vigenti in un determinato paese.
Le donne spesso risultano essere vittime di sè stesse anche perchè la società, la legislazione, contribuisce alla loro vittimizzazione. In USA esistono delle leggi per le quali viene riconosciuto come abuso anche uno sguardo troppo insistente, in società come la nostra, era ridicolo ed impossibile denunciare uno stalker (è stata approvata solo recentemente la legge sullo stupro e lo stalking) se in un atto di violenza sessuale la vittima era colpevole a priori perchè portava i jeans stretti o perchè andava in giro di notte[1]. Il maschio è leggittimato, quasi tutelato dalla stessa società a comportarsi in modo violento e da per scontato che le costruzioni sociali maschili rappresentino la “realtà”, in egual modo la donna ha interiorizzato le forme sociali e culturali dell’agire femminile che la limitano nella libertà di espressione e di movimento, colpevolizzandola, bloccandola e facendola restare al suo posto.
“ [...] lo stupro è un problema degli uomini che hanno costruito la propria identità su stereotipi comportamentali acquisiti e quindi smantellabili attraverso un’elaborazione personale e, sopratutto, tramite un impegno collettivo [Wieck 1992]” (Cipolla pg 547)
Risulta che in epoca preistorica lo stupro costituisse una efficace “strategia” maschile per sparpagliare i propri geni, scrive lo psichiatra Liggio Ferdinando:
[...] non si può escludere che lo “stupro”, il quale aveva funzione adattiva per gli ominidi del pleistocene, attualmente costituisca, un atavismo, ossia il residuo o la ricomparsa di un carattere biologico che, sebbene utile nel favorire la selezione naturale dei lontanissimi antenati, attualmente deve essere considerato come indice di ipoevoluzione o di regressione, poichè l’equivalente evolutivo attuale è costituito dall’infedeltà al partner abituale. [...] Ma, la maggior parte degli “stupri” non da esito a gravidanza sopratutto perchè gli stupratori moderni di solito non riescono a mantenere l’erezione fino all’eiaculazione. Quindi, difficilmente gli stupratori attuali riescono a propagare i propri geni altamente selettivi, anche quando la loro preferenza è rivolta a donne giovani, formose e riproduttive. Lo “stupro” pur configurandosi in apparenza come un atto di violenza sessuale, costituisce essenzialmente un’espressione di rabbia che scaturisce da un intollerabile sentimento d’inefficienza e di mancanza di potere sulla donna” (Liggio F.,Gli aspetti sociobiologici dello stupro, estratto dalla Rivista “Difesa sociale” 2006). Questa affermazione è particolarmente interessante, è come se sottolineasse che determinati comportamenti siano non solo sintomatici rispetto l’epoca che stiamo vivendo, ma anche funzionali alla situazione d’instabilità e perdita di potere socio-economico da parte del maschio.
Lo stupro è un atto di violenza sessuale, manifestazione di aggressività e dominio ma anche di paura, frustrazione e misoginia, lo abbiamo visto nel comportamento degli uomini primitivi, dei Greci, attraverso i racconti mitologici e religiosi.

La connessione tra maschilità e violenza deve essere considerato in una visione globale e non individuale, (R.W. Connell, “Maschilità”)

Aspetti socio culturali della violenza maschile

E’ facile, parlando dello stupro, sforare con l’argomento ed entrare in altri contesti e delicate argomentazioni. Per approfondire il tema dello stupro come conseguenza del comportamento fallocratico, mi sono soffermata sull’analisi delle teorie proposte per trovare ulteriori informazioni sul comportamento maschilista come fattore ereditario innato e/o acquisito per imitazione Fino ad ora abbiamo appurato che:
  • · il maschio comincia ad assumere un comportamento dominante con la donna dopo aver realizzato l’importanza del suo ruolo nell’atto del concepimento (Homo sapiens – sapiens)
  • · il maschio è sottoposto a riti d’iniziazione che consistono in prove da superare per diventare uomini. Bourdieu parla di processi di socializzazione maschile e di costruzione sociale del maschile come genere egemonico e prevalente che separa coloro che sono legittimamente dominanti e coloro che non lo sono, le donne.
A questi aspetti se ne collegano altri che fanno parte della differenziazione nella costruzione sociale del maschile e del femminile, c’è una specificità femminile che il maschio ha difficoltà di riconoscere [2] 

Ciò che veramente desidera colui che chiede la mano di una donna è il resto del corpo
(E. Jardiel Poncela)

Gli studi di Ventimiglia[3] pongono l’attenzione sul gap che esiste all’interno della comunicazione sessuale tra intenzionalità maschile e non gradimento femminile. La comunicazione sessuale è ambivalente, il maschile si pone come universale ed è evidente la differenza nella percezione dei significati e nella rappresentazione dei comportamenti tra il genere maschile e femminile. Pierre Bourdieu l’autore del libro il dominio maschile, usa il termine “violenza simbolica”, per indicare una forma di violenza che si esercita in modo invisibile “essenzialmente attraverso le vie puramente simboliche della comunicazione e della conoscenza”. Alla radice di tali schemi, c’è il rapporto sociale di dominio che si è affermato storicamente e che si mantiene a costo di un incessante lavoro di riproduzione delle strutture sociali e delle attività produttive e riproduttive organizzate secondo la divisione sessuale del lavoro.
Le teorie sullo stupro che sono state proposte imputano la causa della violenza sessuale a fattori esterni o innati a secondo della corrente di pensiero a cui si legano e dei risultati ottenuti dalle ricerche realizzate. Analizzando i fattori considerati come cause scatenanti l’evento, mi sembra che, l’ipotesi del modello multifattoriale del comportamento violento sia la più probabile, l’esponente più importante di questo modello, di cui parlerò in seguito, è Malamuth.
Di ogni teoria[4] presentata ho valutato il fattore determinante nella violenza sessuale e mi sono soffermata sopratutto su due modelli quello della devianza psicopatologica e quello dell’ipotesi socioculturale.
Nel modello della devianza psicopatologica la sessualità dell’uomo viene postulata come un istinto innato[5], sessualità e aggressività sono radicate nell’istinto e i ruoli sessuali sono biologicamente stabiliti, in base a queste caratteristiche l’uomo ha il diritto di sfruttare sessualmente la donna.
Di conseguenza, non è considerato l’intervento di nessun fattore esterno e ambientale, di apprendimento o comportamento acquisito, elementi che, invece, considera l’ipotesi socioculturale. Quest’ultima imputa alla cultura la creazione di predisposizioni alla violenza, i ruoli sessuali rispettano la trasmissione culturale di valori, il contesto sociale produce il comportamento e lo stupro è la conseguenza di un comportamento acquisito.
Nel modello multifattoriale di Malamuth convergono come fattori reciprocamente influenzantesi sia elementi di personalità che componenti socio-culturali. Sono molti i fattori che interagiscono nel comportamento aggressivo. L’autore individua nella motivazione allo stupro i fattori innati, tra le motivazioni include anche le credenze, gli atteggiamenti individuali e la legittimazione sociale alla violenza, non meno importante la storia sessuale personale e le convinzioni religiose dell’individuo, tutte queste variabili creano dei legami causali tra loro. La conclusione della ricerca che è stata sviluppata in diverse fasi, è la seguente:
“L’aggressività sessuale dovrebbe essere concettualizzata lungo un “continuum” comprendente sia i differenti gradi di inclinazione ad aggredire che i differenti livelli del comportamento aggressivo reale. Contemporaneamente, è necessario enfatizzare l’analisi di molteplici fattori interagenti, piuttosto che cercare il fattore singolo o addirittura il fattore causale primario” (Cipolla pg 538)
E’ innegabile quanto il comportamento maschile sessualmente violento sia in sè un fenomeno complesso caratterizzato da molte sfaccettature, non si può dire che esista una causa in senso assoluto da cui deriva il comportamento. Così come si è parlato dello specifico femminile bisogna fare per lo specifico maschile in quanto è nella differenza di genere vista come differenza culturale e biologica che bisogna trovare delle risposte. A tale proposito voglio concludere questa parte sulla violenza sessuale con l’ipotesi patogenetica citata dal Prof. Liggio, che considera lo stupro come un particolare anomalia biosociale multifattoriale[6]e che si articola su questi quattro punti fondamentali:
1. La condotta aggressiva di stupro deriva da due pulsioni innate (non apprese) consistenti nell’istinto sessuale e nell’istinto di possedimento (gli animali aggrediscono per appropiarsi sia della partner sessuale che per le provviste alimentari)
2. La selezione naturale avrebbe favorito nei maschi lo stabilirsi di un comportamento sessuale più forte e più decisivo ed avrebbe favorito quei maschi che, pur di riprodursi, hanno imparato ad usare anche tattiche in cui la partner sessuale viene forzata all’accoppiamento, allorchè non trovano femmine disposte
3. La condotta aggressiva di “stupro” sarebbe dovuta ad una predisposizione innata ed a modalità appresa non per imitazione, ma gradualmente attraverso rinforzi positivi in base ai risultati gratificanti, intensificati dal raggiungimento dello scopo
4. La condotta aggressiva di “stupro” sarebbe facilitata da un eccessiva impregnazione delle strutture cerebrali, devolute alla funzione sessuale, da parte di ormoni androgeni, tale da sminuire la considerazione della sofferenza arrecabile alla vittima e le conseguenze della punizione
La maggior parte dei ricercatori concorda sul fatto che a produrre effetti sul comportamento siano sia gli ormoni che la costituzione anatomica. L’antropologo e biologo Melvin Konner, nonostante ritenga, così come sostengono i naturalisti (pf 1 seconda parte), che la biologia non determini ne la maggior parte tantomeno tutti gli aspetti del nostro comportamento e, che le culture offrono un certo grado di variabilità nell’assegnazione dei ruoli sessuali delle attività e dei compiti di loro competenza, nella sua ricerca arriva alla conclusione che il testosterone (il principale ormone sessuale maschile) predispone i maschi ad un livello leggermente superiore di aggressività rispetto le femmine (cfr. Anche Archer e Lloyd 1985, pp. 138-139 cit in la genesi del maschile pag 24 pg 25 ibidem). In effetti questa è una tesi di orientamento deterministico, una variazione ormonale, così come può accadere nella castrazione chimica non necessariamente modifica l’aggressività dell’uomo, la correlazione tra aggressività e livello di testosterone è quindi minima.
Secondo la prospettiva biologico-evolutiva citata da Lionel Tiger ( da Men in Groups 1971, in Gilmore pg 28) poichè gli uomini primitivi erano tutti cacciatori le loro tendenze maschili, come l’aggressività e la solidarietà, erano e sono geneticamente determinate per predisposizone biologica. Ipotesi, questa, che è stata confutata e non può essere accettata come spiegazione universale, tra l’altro ci sono dei contesti sociali in cui, sebbene sussista la necessità di sviluppare e mostrare la propria virilità, la violenza non gioca un ruolo importante. Questa ipotesi, dunque, risulta piuttosto valida solo in quei casi in cui il patriarcato risulta essere ancora molto forte. (vedi seconda parte sul determinismo biologico)

[1] Questa affermazione risulta vera nel momento in cui l’ho scritta, dopo i frequenti eventi di violenza a persecuzione che sono avvenuti in Italia il governo ha messo in atto nuove leggi a tutela delle donne e contro lo stalking
[2] Ricerca di Scully 1991: Un uomo che nn riconosce lo specifico femminile è un candidato alla violenza, in tal caso l’uomo leggitimerà i suoi atteggiamenti e comportamenti delegittimando quelli femminili. Oltre ad una maggiore rigidità nei confronti delle donne, gli stupratori esprimevano un maggior grado di accettazione verso la forza, la coercizione, c’è una leggitimizzazione della forza nelle relazioni interpersonali e sopratutto quelle intime, ed una maggiore identificazione col ruolo maschile tradizionale in modo superiore a quello del gruppo di controllo rappresentato da criminali normali. (Cipolla pag. 541)
[3] Ididem pag. 523
[4] Aggiungo alle teorie citate quella femminista: entrambi i sessi sono educati a considerare l’aggressione maschile come una parte naturale e normale della relazione sessuale. Da una serie di ricerche risulta che molti uomini nella nostra società sono capaci di aggressione sociale. Basarsi sul presupposto della “normalità”significa sostenere che anche chi non ha mai commesso, e forse non commetterebbe mai, uno stupro, potrebbe contribuire al perpetuarsi di comportamenti di prevaricazione, di sopruso e di violenza attraverso quegli stereotipi, culturalmente indotti, che legittimano e sostengono lo stupro. (Ibidem 533)
[5] “L’attività sessuale nel suo aspetto prussico risulta inscindibile dalla dinamica appetitivi-aggressiva, comune anche all’attività predatorio-alimentare, fin dalla sua origine filogenetica (Liggio, 1968b,1978,1999).L’istinto di aggressività si origina, in complementarietà con l’istinto di riproduzione, come forma primordiale tesa a plasmare tutti gli aspetti di selezione evolutiva.(Riv.Sessuol. . Vol.28 – n. 2 Aprile-giugno 2004)
[6] Riporto per questo argomento all’estratto dalla rivista Difesa Sociale – N 1-2 del 2006: “Gli aspetti socio biologici dello stupro” di F.Liggio (pag 81)

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